We’ve updated our Terms of Use to reflect our new entity name and address. You can review the changes here.
We’ve updated our Terms of Use. You can review the changes here.

Emet

from Aepok by Ruina

/

about

-Ambienti, battiti e rumori di H!U

-Testo scritto e interpretato da Dario Bassani

-Frequenze basse fornite da Durma

lyrics

Mi risveglio in lacci di silenzio e tenebra. Sopra alla mia tana ascolto i passi dei topi sull'erba secca. I campi si consumano in polvere sotto al sole e so che presto questo tempo si renderà al ciclo di morti e resurrezioni delle stagioni. La terra sarà trapassata dal grano che - regale - scanserà le sterpaglie. La caverna non ha rumori né bestie. L’acqua non ha voce nelle budella del monte, e ormai neppure il corso del mio sangue. Sotto alla mia pelle solo io ricordo quando il vento di questa regione mi scolpì per la prima volta le carni.

Giunsi alla città coronata dai campi presso le pendici del monte senza nome. Il mio cavallo e la porpora della mia tunica dovettero impressionare i coloni. Al mio passaggio ammirarono i miei fasti, loro che erano vestiti di iuta. Gli uomini erano tozzi, nodosi, massicci come capri: parevano sculture di legno, sgrossate da approssimativi colpi d'ascia. La fatica degli aratri aveva scolpito in loro una sorta di brutale saggezza. Dentro agli occhi delle donne non ritrovai le malizie e i coltelli della mia patria, ma soltanto le braci antiche dei camini. Gli dissi che ero venuto per salvarli e proteggerli.
In quel tempo ero conosciuto come l'Artigiano di fumo, il costruttore di maschere. Andavo di villaggio in villaggio, fingendomi stregone. A loro raccontai di essere venuto per alzare lo scudo dei miei incantesimi contro i pericoli che sarebbero strisciati fuori dall'ombra entro poche lune. Aggiunsi che dopo il crepuscolo avrei mostrato loro ciò che ero in grado di fare, così che mi potessero giudicare. Gli anziani ascoltavano attenti. Mai sembrarono dubitare della mia volontà d'aiutarli. Intendevo risvegliare il timore di una Bestia grande e molteplice che infestava da tempi immemorabili i loro racconti. Avvolto dalla caligine di una notte senza luna né stelle mostrai loro quanto bene conoscevo l'algebra dell'inganno. Mascherato da sovrano, con un bastone ingioiellato in pugno, narrai delle bestie oltre la montagna, che sarebbero giunte dall'est prima del raccolto per portare carestia e morte. I viluppi del falò illuminarono una folla di volti contratti dal terrore, di bambini coperti di fango avvinghiati ai polpacci delle madri. Continuai: solo un mago dal potere incontrastabile poteva tenere lontano l'orrore, circondando il villaggio con riti, glifi e sigilli. Gli porsi il mio potere. Mi avrebbero ripagato concedendomi un ozio totale nella pace del loro villaggio, aiutato da pochi pasti frugali. Inoltre, l'oro e i tesori sarebbero dovuti essere lasciati presso me, poiché l'avidità avrebbe potuto accelerare la venuta dei mostri. Alle mie spalle, le sagome d'ombra che i miei macchinari proiettavano sulla parete di roccia e le astuzie degli specchi accrebbero la loro credulità. Finsi nella fuliggine spettri ripugnanti, con ali e bocche di fumo. Ingigantito dalle fiamme che foravano il buio mi credettero potente come un Dio. Osservai la loro superstizione e ne risi. Gli Dei, se mai esistettero, erano già stati consegnati all'oblio, forse suicidi per invidia dell’onnipotenza umana.
Mi supplicarono di essere il re di quelle terre ed io accettai. Ad ogni aurora il tappeto di ori attorno al mio trono cresceva. Uno stuolo di servi sfamava ogni mio capriccio. Il mio letto non fu mai privo di donne pronte a sopire e a subire la mia pigra lussuria. Feci tagliare mani e lingua a chi ancora dubitava della mia tirannica e pigra forza. Il re del grano, del resto, non doveva permettere alle malelingue di dibattersi. Ingrassai, persi l'acume asciutto che mi aveva reso ciò che ero. Poi su di me calò il crepuscolo.
Il mio declino si annunciò con un tremore nell'aria. Poi una nube nera emerse dall'orizzonte, ronzando. L'aureola del mattino fu coperta da una tempesta di locuste e anche le pietre tremarono per l'ululato dei Demoni. L’orrore venuto dall’Est era infine giunto per inchiostrare la terra di segmenti d’ombre minute. Lo sciame si riversò sulle spighe con un rombo sordo che decapitò ogni altro grido e lamento. In pochi attimi quella folata di fauci divorò i campi. Smembrato ogni chicco, gli insetti svanirono ad ovest, lasciandosi dietro una carcassa di zolle e sassi.
Invano cercai di scampare al fallimento: sorpresi i coltelli dei miei servi ancora caldi di sterminio e sangue. Il mio cavallo giaceva in pezzi sul fieno, circondato da una folla di braccianti seminudi. Si volsero verso di me senza una parola e intrapresi il mio supplizio dibattendomi incappucciato fra le loro mani.

Con i polsi legati e molte spade attorno mi gettarono nelle budella del monte, dove anche i pipistrelli temono ciò che c'è nel buio. I miei piedi non schivarono nessuna delle rocce aguzze che mi dilaniarono le carni. Cieco, mi incatenarono a un altro trono. Martelli spinsero chiodi neri nelle mie spalle, e i miei urli riempirono il buio mentre i miei torturatori mi univano al marmo. Leccai come un cane l'acqua scura e densa che mi gettarono sul volto, mangiai le radici amare che mi porgevano e il dolore si fece lontano. Giorni, ore o forse settimane dopo continuarono, infliggendomi gli schinieri di roccia che infransero le mie gambe. Mi consegnarono un nuovo torso di basalto, e ancora la morte non veniva a liberarmi da quel sarcofago di sasso. Supplicai più volte i miei torturatori di finirmi. Nessuna parola.

I Soli e le Lune si moltiplicarono mentre il rituale continuava. Incisero glifi nelle mie ossa e nel mio sangue con ferro e fuoco, mentre le loro torce ardevano nere. Dettarono alla mia volontà il turno di guardia che avrei dovuto esercitare contro i Demoni, eterno ed incorruttibile lungo tutta l’eternità. Dopo un’altra razione di erbe amare, aprirono la mia schiena e trassero fuori dal mio corpo tutto ciò che non mi sarebbe più servito. Le mie viscere furono sistemate con ordine in uno scrigno e così i miei occhi e la mia lingua. Poi mi ricucirono lungo la colonna vertebrale.

Gli anziani mi accerchiarono in quella che mi parve una notte totale, senza alcun inizio o conclusione. Mentre quei sacerdoti incappucciati da mantelli neri quanto il fuoco fra le loro dita intonavano canti, il terreno si fece fangoso. Il mio trono iniziò a sprofondare nella terra della montagna. Affogai nell’argilla che mi colò sull’anima.

Immerso nel limo, pensai sollevato che finalmente sarei stato liberato. Quanto ero stupido. Ricominciai a sentire vigore nelle membra. Mi feci strada con braccia e gambe attraverso quel denso stagno e riemersi dal fango boccheggiando. Poi mi resi conto che non avrei avuto più alcun bisogno di respirare, mentre sentivo crescere in me un’eternità che odorava di caverne. Attorno a me, le fiamme diventarono di nuovo cremisi. Il sacerdote mi portò davanti a uno specchio di bronzo e mi ordinò di guardarmi, mentre ogni nervatura del mio nuovo corpo spirava il Verbo della roccia.

La mia pelle, ruggendo bassa, si ispessì come la cotenna di un cinghiale in pietra, e la mia schiena si curvò come una catena montuosa. Vedevo di nuovo ogni cosa, i miei occhi erano gemme di rugiada sul fondo dei cunicoli che le orbite mi scavavano nel cranio. Non avevo più capelli o unghie. Non sentivo più fame o sete. Accennai un passo. Nessun movimento. La mia nuova lingua fangosa poteva solo scandire ordini. “Obbedisco” fu la prima parola che seppi di poter dire.
Mi ricondussi al trono, riemerso silenzioso dal fango che si era già indurito come un sasso. Seduto, mi misero una spada di ossidiana fra le mani e una corona di spighe ramate sul capo. Così inizia la tua guardia, Re del Grano, mi dissero.

All’interno del mio sarcofago di basalto, dove non sento più il tempo, posso unicamente pregare per la venuta del mio carnefice.

Dove sei, morte? Non sono degno del tuo nome, proprio ora che più ti desidero? Cosa credi? Che gli Dei mi stiano punendo per la mia disonestà? Stupida. Non sono state le mie menzogne a condannarmi. Io sono la radice e il ramo di me stesso e delle mie sciagure. Che cosa vuoi dimostrarmi ancora? Forse che il tuo prezzo è un’esistenza immersa in un pantano di dolore? Potrei disfarti con una spirale di fumo, proprio come ho fatto con questa mia vita. Morte, tu non esisti né mai sei esistita. Sei una scusa per i pigri, un blasone per i deboli. Ora vattene e lasciami alle mie illusioni, mi sono annoiato da tempo del silenzio con cui riempi l’universo. Io sono ancora regale, tirannico, mostruoso, bugiardo. Tu che cosa sei?

credits

from Aepok, released December 19, 2015
-Ambienti, battiti e rumori di H!U

-Testo scritto e interpretato da Dario Bassani

-Frequenze basse fornite da Durma

license

all rights reserved

tags

about

H!U Galbiate, Italy

contact / help

Contact H!U

Streaming and
Download help

Shipping and returns

Report this track or account

If you like H!U, you may also like: